Smart Working: Nuova svolta o falso mito?

“Smart working”: un’espressione tipicamente inglese che negli ultimi tre mesi è entrata nella vita di tutti noi, stravolgendone la routine e l’organizzazione del lavoro. Arrivato come uno tsunami, configurandosi come unica possibilità per garantire la continuità della prestazione lavorativa per moltissime aziende del nostro Paese, ci si chiede: lo smart working ad oggi attuato rappresenta quell’idea di flessibilità e di conciliazione di orari di vita e di lavoro per il quale era nato?

Che cos’è lo Smart Working?

Nasce pochi anni fa e viene regolamentato con una legge ad hoc nel 2017 lo smart working (o lavoro agile): una nuova modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che ha come obiettivo il raggiungimento della flessibilità. Cosa intendiamo con il termine “flessibilità”?

Flessibilità è sinonimo di adattabilità e indica per il lavoratore lo svincolamento da un luogo fisico interno all’azienda predeterminato per lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche da un rigido orario di lavoro e da un controllo diretto e immediato del datore sulla prestazione dovuta.

La legge n.81 del 2017 dispone la disciplina dello smart working, che mantiene le caratteristiche principali dei rapporti di lavoro subordinato, ma ne perde i riferimenti spaziali e temporali.

Lo smart working deve formare oggetto di un accordo scritto tra le parti che lo stipulano (datore di lavoro e lavoratore), che individuano le modalità di esecuzione e gli obiettivi della prestazione, rispettando sempre il contratto collettivo applicato. Lo smart worker infatti sarà equiparato a tutti gli effetti a un lavoratore in presenza, garantendogli il medesimo trattamento normativo e retributivo, stessa formazione su sicurezza sul lavoro e privacy, assicurandolo per infortuni e malattie.

 

Smart Working ai tempi del Coronavirus

A seguito dell’emergenza sanitaria Covid-19, il fenomeno dello smart working è esploso a livello nazionale allo scopo di fronteggiare la diffusione del virus.

Con i DPCM susseguitisi da marzo 2020 viene offerta la possibilità di svolgere il lavoro da remoto tramite una disciplina “semplificata” di smart working, in deroga con la legge n.81 del 2017. Da marzo e per la durata di sei mesi i datori di lavoro dispongono della facoltà di attivare lo smart working in assenza di un accordo individuale, con l’obbligo di informativa sulla salute e sicurezza.

Negli ultimi mesi di emergenza sanitaria nazionale lo smart working ha rappresentato un’ancora di salvezza. In particolare, ha raffigurato una modalità essenziale per aumentare il distanziamento sociale, evitando la presenza in azienda della totalità dei lavoratori, con lo scopo di una diminuzione rapida dei contagi e della successiva ripresa dell’attività lavorativa.

 

Potenzialità

Lo smart working rappresenta una rivoluzione per la vita del lavoratore che viene “liberato” da vincoli di orario e di luogo della prestazione. Infatti, egli non solo ha la possibilità di gestire i propri orari di vita e di lavoro, ma ha anche il vantaggio di svolgere l’attività nel luogo da lui selezionato.

Secondo studi effettuati negli ultimi anni, la possibilità di scegliere il luogo in cui svolgere la prestazione lavorativa riduce notevolmente lo stress e fa svolgere al meglio le mansioni assegnate.

Inoltre, la modalità di prestazione di lavoro in smart working ha permesso di aumentare la produttività delle imprese coinvolte, responsabilizzando il lavoratore che esegue la sua attività in parte all’esterno dei locali aziendali, e di aumentare la loro attrattività sul mercato.

 

Criticità

Lo smart working, in quanto novità, presenta molteplici dubbi che hanno portato alla sua scarsa applicazione in Italia. Secondo i dati Eurostat 2018 appena il 2% dei lavoratori dipendenti prestava la propria attività tramite la modalità di lavoro agile. Ad oggi, l’applicazione del lavoro agile è limitata a determinati settori e presenta diverse criticità: la più rilevante è rappresentata dalla poca conoscenza della disciplina, che porta l’imprenditore a non fidarsi né dello strumento né dei propri dipendenti. Entrambe le parti potrebbero “approfittarsene”: il lavoratore potrebbe lavorare meno e non arrivare agli obiettivi prefissati, dato l’apparente minor controllo; dall’altra parte il datore di lavoro potrebbe aumentare il carico di lavoro ai dipendenti e di conseguenza aumentare le ore di lavoro, con la convinzione che lavorare da casa sia “più facile”. Alla base di qualsiasi rapporto di lavoro – in particolar modo quello svolto in modalità agile – deve esserci necessariamente la fiducia reciproca, senza la quale il contratto non può instaurarsi. La diffidenza è inoltre alimentata dallo sforzo organizzativo necessario da parte dell’azienda, la quale deve investire in materiale tecnologico e formazione dei propri dipendenti, effettuando così una rivalutazione del personale e dei rischi di salute e sicurezza ai quali è possibile incorrere. La dimostrazione di questa diffidenza la si può vedere nell’applicazione del lavoro agile in concomitanza con l’emergenza Coronavirus: come sappiamo, nel 2020 il ricorso allo smart working ha rappresentato una soluzione di “forza maggiore”, trasformandosi così in un semplice “lavorare da casa”, dimenticandosi completamente degli obiettivi di flessibilità e di conciliazione di vita e di lavoro per i quali era nata

Infine è stato dimostrato come possano sorgere conseguenze anche a livello psicologico per i lavoratori in smart working: in particolare si fa riferimento al senso di isolamento di cui può soffrire sentendosi escluso dai meccanismi e dalle situazioni della propria azienda, anche in assenza di interazioni dirette con i colleghi.

 

Lo smart working quindi, se utilizzato correttamente, può rivelarsi una svolta per il raggiungimento di una funzionale organizzazione del lavoro che porta a notevoli risultati aziendali, in termini di produttività e di serenità del dipendente. Al contrario, se viene adoperato in maniera scorretta non potrà che accentuare le complicazioni del rapporto di lavoro subordinato, dimostrandosi tristemente un “falso mito” che può ledere la relazione di fiducia instauratasi tra il dipendente e il proprio datore di lavoro.

 

Se volete approfondire il tema dello Smart Working durante l’emergenza Covid-19, non perdetevi il nostro articolo in collaborazione con Ravenna&Dintorni: Smart Working nel Decreto Rilancio